Roma, 13.12.2018 - 23.01.2019, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea: “ilmondoinfine: vivere tra le rovine”, (group show, project by Ilaria Bussoni)
https://lagallerianazionale.com/2019/01/23/new-vesuvian-landscapes-la-parola-a-gigi-cifali
New Vesuvian Landscapes è il tuo progetto fotografico esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma: il soggetto è il Parco Nazionale del Vesuvio, un luogo mitico della cultura europea ma anche il simbolo di una terra in eterna lotta contro l’abusivismo edilizio. Come è nato il progetto? Ci racconti la sua genesi?
Principalmente mi interrogo sui temi dell’etica dell’ambiente e della memoria collettiva. La fotografia in mostra appartiene alla serie New Vesuvian Landscapes, che affronta la questione dell’abusivismo edilizio nella zona rossa del Parco Nazionale del Vesuvio, alle cui pendici sono cresciuto osservandolo. Per chi abita questi luoghi rappresenta un orizzonte inevitabile, quanto il mare, e conviverci prevede una costruzione sociale del pericolo. Riflettendo sul rapporto della comunità con uno dei più pericolosi vulcani al mondo, ho rivolto lo sguardo verso chi negli ultimi decenni se n’è appropriato spezzando l’equilibrio con la sua natura. Spingendomi nei sentieri ho esplorato il paesaggio, immaginando le vedute tramandate dal Grand Tour, sino a trovare nella cementificazione ritratta tra gli alberi i mutamenti scorretti condizionati dall’azione umana, che non si è fermata nemmeno davanti al rischio di eruzioni. Anzi, l’idea che il terreno sia edificabile ne altera la percezione.
La scelta tecnica del taglio circolare delle immagini rimanda volutamente alla tradizione paesaggistica ottocentesca della Scuola di Posillipo. Quanto i tuoi luoghi d’origine hanno ispirato i tuoi lavori? (l’artista è originario di Torre del Greco (Napoli), (ndr)
Il formato circolare delle fotografie ricorda le vedute della pittura napoletana nell’Ottocento, che invitavano a contemplarne la bellezza e con cui continuiamo ad identificare il Vesuvio. Oggi, però, la sua stessa natura non è più inviolata. Fermandomi ad ammirarla come in un voyage pittoresque a confronto, ho attraversato il paesaggio scrutando particolari sparsi e celati che non dovrebbero esserci. Le prospettive sono difatti scandite dai lunghi tempi dell’osservare e da un processo creativo paziente con i ritmi e gesti lenti del banco ottico. Non vivo stabilmente a Torre del Greco da ormai metà dei miei anni, ma il legame con il territorio campano rimane forte e mi riporta sempre ad esplorarne la realtà. In questo momento sto completando un lavoro sui rischi ambientali legati allo smaltimento dei rifiuti nella Terra dei Fuochi, che possiamo riconoscere anche altrove a livello globale.
Nei tuoi lavori figurano edifici e paesaggi antropizzati ma sempre privi del proprio artefice: l’uomo. Come interpreti il titolo della mostra che espone il tuo lavoro Ilmondoinfine: vivere tra le rovine? Le rovine come deriva o come approdo?
Il paesaggio fotografato è uno stato di fatto, che è destinato ad essere trasformato e ricostituito dall’attività del vulcano. Le catastrofi naturali provocano distruzioni e al contempo portano nuove condizioni ambientali. Così è stato dopo la letale eruzione del 79 d. C. che modificò la morfologia del Vesuvio e devastò l’area circostante, mantenendone il suolo particolarmente fertile.
Che ruolo ha per te la rovina in una città come Roma, dove archeologia, mito e invenzione si intrecciano?
Roma parla attraverso le rovine, che ci conciliano con la sua storia. Nulla è configurato come una linea retta, tutto si attraversa.
Già Lucrezio (De rerum natura, I sec a.c) sosteneva di come la natura umana fosse sempre stata dominatrice della natura. Che cosa ci riserva l’epoca geologica dell’Antropocene?
In un perenne ciclo di rigenerazione il nostro pianeta possiede forze distruttive, che non possiamo controllare. Nell’attuale era dell’Antropocene l’equilibrio con la natura, che l’uomo avrebbe dovuto rispettare, è ormai compromesso. Gli eventi naturali diventano disastri per colpa delle conseguenze dell’agire umano. Con lo sviluppo della scienza e della tecnologia aumenta la nostra consapevolezza dei potenziali rischi e percepirli ci rende più insicuri verso il mondo circostante.
In uno scenario in continua evoluzione dove l’immagine ha assunto un ruolo preponderante nella comunicazione e nella creazione di relazioni, come si configura il mestiere di fotografo? È ancora una necessità?
L’immagine ha superato se stessa e la fotografia si è trasformata ibridandosi con altri linguaggi. Di conseguenza cresce la responsabilità del fotografo con specifiche competenze del mezzo fotografico.
IMAGES AND SIGNS: ITALY, 1969-89. PRACTICES OF MEMORY
Critical text by Luca Panaro
un'apparizione di superfici (Apm Edizioni 2017)
The so-called "years of lead", a period of extreme political dialectics that transpired into the violence of the square and in the armed struggle, are closely investigated in the work Images and Signs: Italy, 1969-89. Practices of Memory. Moving backward, like an archaeologist looking for tracks, the artist photographed the finds still kept closed in courtrooms, far away from the eyes and the memory of the Italians. He could access to the archives and motors depot where the bodies of crimes seized in the caves of terrorists are kept, where the personal belongings of the victims found, where the cars assaulted during the ambush stored. He investigated the remaining signs that nobody had ever looked for before, had them experimented and documented. With deliberately narrow shots he synthesized them through photography, he abstracted them, waterproofed to the judgments, sculpting them indelibly in the collective imagination and transforming them into icons to be used slowly, out of any narrative or logic of destruction. "An appearance of surfaces", Luca Panaro (Apm Edizioni 2017)
POLITICAL TERRORISM AS NEWS FROM A DISTANT STAR: "IMAGES AND SIGNS: ITALY, 1969 - 89"
A narrative exhibition curated by Gianluigi Ricuperati
(Turin, November 2015)
Curator text by Gianluigi Ricuperati
PRACTICES OF DISTANCING FAR
In the novel “The Dispossessed - An Ambiguous Utopia”, the superbly literary science fiction novelist Ursula K. Le Guin imagines a double planet system divided by an insurmountable wall: on the one hand, there is Urras, a technological, florid, capitalist society based on money and work; the second planet, Anarres, on the other hand, is ruled by anarchism, based on the adhesion to Nature and on a strong suspicion for the machines.
The novel was published in 1974 when the world was indeed divided into two parts, and such brutal separation has (also) resulted in decades of political violence in both the European and South American countries.
Italy has been one of the countries where such violence has more powerfully shaped the collective imagination and the political destinies of all the next and post-1968 generations.
In the work “Images and Signs: Italy, 1969-89”, the Italian photographer Gigi Cifali has portrayed, with the permission of the competent authorities, the corpora delicti - objects, garments, bullet-riddled cars, an unexploded device, weapons – regarding the trials related to the violent acts of murder and ideological terrorism that ravaged Italy for twenty years.
However, the experimental exhibition FAR. Political Terrorism as news from a distant star - curated by the writer Gianluigi Ricuperati - is not focused on the undeniable historical and artistic value of these documents, whose absolute patency and necessity have already emerged.
It is rather taking a look from a distance, a practice of distancing, rethinking through these extraordinary images, displayed on the desks of an office, not different from many archives and sorting centers that overflow the bureaucratic system of every country, like vestiges and stations of a dark anthropological fairy tale. A sadly true fairy tale, but which nonetheless has the narrative features of a celebration turned into an unfathomable tragedy.
Like in the novel by Ursula K. Le Guin, also in the History of Western civilization in the Seventies, two totally opposite views of the world and of life clashed generating very similar results, along with their specific differences: the resulting ordeal is therefore told by comparing the corpora delicti, completely based on documents, with the visionary prose of the novel, which in some points discloses deep and revelatory convergences and assonances.
Moro's murder, the massacre of Piazza della Loggia in Brescia, the garments, the guns, the wrong and delirious sentences of the terrorists’ cyclostyles, resound thanks to the fiction in their more absolute truth. Thus, the splendid, terrible, images of Gigi Cifali appear as the final consequences of a leitmotif that goes beyond the, albeit fundamental, historical reconstruction: the brink of the precipice on which everyone walks when we allow the world of human beings to become subordinated to the world of the ideas.
ABSENCE OF WATER
Critical text by Viktoria von der Brüggen
“la Collection", Fondation François Schneider, Wattwiller, February-May 2015
With its documentary sobriety, Gigi Cifali’s work reveals the transformations and ephemeral nature of our lifestyles and the places we spend our time. In his series Absence of Water, the artist captures the decline of English public swimming baths through meticulous portraits of derelict pools. With the lavish, exuberant details of their architecture, these baths built in the late nineteenth century reveal the optimism and aspirations of Victorian society. They contain memories of places full of life, laughter and collective well-being. These buildings enjoyed their glory days in the first half of the twentieth century, but have been abandoned over recent decades, following sharp declines in visitor numbers, as the public was drawn to more modern facilities.
Always taken from the same central, frontal viewpoint, Gigi Cifali’s perfectly framed photographs with their cold colours develop a typology of leisure facilities that have lost their function. They recall the systematic documentation of industrial archaeology undertaken by Bernd and Hilla Becher since the 1960s, in which the different types of buildings seem to be the self-representation of a specific period and society.
Roma, 13.12.2018 - 23.01.2019, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea: “ilmondoinfine: vivere tra le rovine”, (group show, project by Ilaria Bussoni)
https://lagallerianazionale.com/2019/01/23/new-vesuvian-landscapes-la-parola-a-gigi-cifali
New Vesuvian Landscapes è il tuo progetto fotografico esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma: il soggetto è il Parco Nazionale del Vesuvio, un luogo mitico della cultura europea ma anche il simbolo di una terra in eterna lotta contro l’abusivismo edilizio. Come è nato il progetto? Ci racconti la sua genesi?
Principalmente mi interrogo sui temi dell’etica dell’ambiente e della memoria collettiva. La fotografia in mostra appartiene alla serie New Vesuvian Landscapes, che affronta la questione dell’abusivismo edilizio nella zona rossa del Parco Nazionale del Vesuvio, alle cui pendici sono cresciuto osservandolo. Per chi abita questi luoghi rappresenta un orizzonte inevitabile, quanto il mare, e conviverci prevede una costruzione sociale del pericolo. Riflettendo sul rapporto della comunità con uno dei più pericolosi vulcani al mondo, ho rivolto lo sguardo verso chi negli ultimi decenni se n’è appropriato spezzando l’equilibrio con la sua natura. Spingendomi nei sentieri ho esplorato il paesaggio, immaginando le vedute tramandate dal Grand Tour, sino a trovare nella cementificazione ritratta tra gli alberi i mutamenti scorretti condizionati dall’azione umana, che non si è fermata nemmeno davanti al rischio di eruzioni. Anzi, l’idea che il terreno sia edificabile ne altera la percezione.
La scelta tecnica del taglio circolare delle immagini rimanda volutamente alla tradizione paesaggistica ottocentesca della Scuola di Posillipo. Quanto i tuoi luoghi d’origine hanno ispirato i tuoi lavori? (l’artista è originario di Torre del Greco (Napoli), (ndr)
Il formato circolare delle fotografie ricorda le vedute della pittura napoletana nell’Ottocento, che invitavano a contemplarne la bellezza e con cui continuiamo ad identificare il Vesuvio. Oggi, però, la sua stessa natura non è più inviolata. Fermandomi ad ammirarla come in un voyage pittoresque a confronto, ho attraversato il paesaggio scrutando particolari sparsi e celati che non dovrebbero esserci. Le prospettive sono difatti scandite dai lunghi tempi dell’osservare e da un processo creativo paziente con i ritmi e gesti lenti del banco ottico. Non vivo stabilmente a Torre del Greco da ormai metà dei miei anni, ma il legame con il territorio campano rimane forte e mi riporta sempre ad esplorarne la realtà. In questo momento sto completando un lavoro sui rischi ambientali legati allo smaltimento dei rifiuti nella Terra dei Fuochi, che possiamo riconoscere anche altrove a livello globale.
Nei tuoi lavori figurano edifici e paesaggi antropizzati ma sempre privi del proprio artefice: l’uomo. Come interpreti il titolo della mostra che espone il tuo lavoro Ilmondoinfine: vivere tra le rovine? Le rovine come deriva o come approdo?
Il paesaggio fotografato è uno stato di fatto, che è destinato ad essere trasformato e ricostituito dall’attività del vulcano. Le catastrofi naturali provocano distruzioni e al contempo portano nuove condizioni ambientali. Così è stato dopo la letale eruzione del 79 d. C. che modificò la morfologia del Vesuvio e devastò l’area circostante, mantenendone il suolo particolarmente fertile.
Che ruolo ha per te la rovina in una città come Roma, dove archeologia, mito e invenzione si intrecciano?
Roma parla attraverso le rovine, che ci conciliano con la sua storia. Nulla è configurato come una linea retta, tutto si attraversa.
Già Lucrezio (De rerum natura, I sec a.c) sosteneva di come la natura umana fosse sempre stata dominatrice della natura. Che cosa ci riserva l’epoca geologica dell’Antropocene?
In un perenne ciclo di rigenerazione il nostro pianeta possiede forze distruttive, che non possiamo controllare. Nell’attuale era dell’Antropocene l’equilibrio con la natura, che l’uomo avrebbe dovuto rispettare, è ormai compromesso. Gli eventi naturali diventano disastri per colpa delle conseguenze dell’agire umano. Con lo sviluppo della scienza e della tecnologia aumenta la nostra consapevolezza dei potenziali rischi e percepirli ci rende più insicuri verso il mondo circostante.
In uno scenario in continua evoluzione dove l’immagine ha assunto un ruolo preponderante nella comunicazione e nella creazione di relazioni, come si configura il mestiere di fotografo? È ancora una necessità?
L’immagine ha superato se stessa e la fotografia si è trasformata ibridandosi con altri linguaggi. Di conseguenza cresce la responsabilità del fotografo con specifiche competenze del mezzo fotografico.
IMAGES AND SIGNS: ITALY, 1969-89. PRACTICES OF MEMORY
Critical text by Luca Panaro
un'apparizione di superfici (Apm Edizioni 2017)
The so-called "years of lead", a period of extreme political dialectics that transpired into the violence of the square and in the armed struggle, are closely investigated in the work Images and Signs: Italy, 1969-89. Practices of Memory. Moving backward, like an archaeologist looking for tracks, the artist photographed the finds still kept closed in courtrooms, far away from the eyes and the memory of the Italians. He could access to the archives and motors depot where the bodies of crimes seized in the caves of terrorists are kept, where the personal belongings of the victims found, where the cars assaulted during the ambush stored. He investigated the remaining signs that nobody had ever looked for before, had them experimented and documented. With deliberately narrow shots he synthesized them through photography, he abstracted them, waterproofed to the judgments, sculpting them indelibly in the collective imagination and transforming them into icons to be used slowly, out of any narrative or logic of destruction. "An appearance of surfaces", Luca Panaro (Apm Edizioni 2017)
POLITICAL TERRORISM AS NEWS FROM A DISTANT STAR: "IMAGES AND SIGNS: ITALY, 1969 - 89"
A narrative exhibition curated by Gianluigi Ricuperati
(Turin, November 2015)
Curator text by Gianluigi Ricuperati
PRACTICES OF DISTANCING FAR
In the novel “The Dispossessed - An Ambiguous Utopia”, the superbly literary science fiction novelist Ursula K. Le Guin imagines a double planet system divided by an insurmountable wall: on the one hand, there is Urras, a technological, florid, capitalist society based on money and work; the second planet, Anarres, on the other hand, is ruled by anarchism, based on the adhesion to Nature and on a strong suspicion for the machines.
The novel was published in 1974 when the world was indeed divided into two parts, and such brutal separation has (also) resulted in decades of political violence in both the European and South American countries.
Italy has been one of the countries where such violence has more powerfully shaped the collective imagination and the political destinies of all the next and post-1968 generations.
In the work “Images and Signs: Italy, 1969-89”, the Italian photographer Gigi Cifali has portrayed, with the permission of the competent authorities, the corpora delicti - objects, garments, bullet-riddled cars, an unexploded device, weapons – regarding the trials related to the violent acts of murder and ideological terrorism that ravaged Italy for twenty years.
However, the experimental exhibition FAR. Political Terrorism as news from a distant star - curated by the writer Gianluigi Ricuperati - is not focused on the undeniable historical and artistic value of these documents, whose absolute patency and necessity have already emerged.
It is rather taking a look from a distance, a practice of distancing, rethinking through these extraordinary images, displayed on the desks of an office, not different from many archives and sorting centers that overflow the bureaucratic system of every country, like vestiges and stations of a dark anthropological fairy tale. A sadly true fairy tale, but which nonetheless has the narrative features of a celebration turned into an unfathomable tragedy.
Like in the novel by Ursula K. Le Guin, also in the History of Western civilization in the Seventies, two totally opposite views of the world and of life clashed generating very similar results, along with their specific differences: the resulting ordeal is therefore told by comparing the corpora delicti, completely based on documents, with the visionary prose of the novel, which in some points discloses deep and revelatory convergences and assonances.
Moro's murder, the massacre of Piazza della Loggia in Brescia, the garments, the guns, the wrong and delirious sentences of the terrorists’ cyclostyles, resound thanks to the fiction in their more absolute truth. Thus, the splendid, terrible, images of Gigi Cifali appear as the final consequences of a leitmotif that goes beyond the, albeit fundamental, historical reconstruction: the brink of the precipice on which everyone walks when we allow the world of human beings to become subordinated to the world of the ideas.
ABSENCE OF WATER
Critical text by Viktoria von der Brüggen
“la Collection", Fondation François Schneider, Wattwiller, February-May 2015
With its documentary sobriety, Gigi Cifali’s work reveals the transformations and ephemeral nature of our lifestyles and the places we spend our time. In his series Absence of Water, the artist captures the decline of English public swimming baths through meticulous portraits of derelict pools. With the lavish, exuberant details of their architecture, these baths built in the late nineteenth century reveal the optimism and aspirations of Victorian society. They contain memories of places full of life, laughter and collective well-being. These buildings enjoyed their glory days in the first half of the twentieth century, but have been abandoned over recent decades, following sharp declines in visitor numbers, as the public was drawn to more modern facilities.
Always taken from the same central, frontal viewpoint, Gigi Cifali’s perfectly framed photographs with their cold colours develop a typology of leisure facilities that have lost their function. They recall the systematic documentation of industrial archaeology undertaken by Bernd and Hilla Becher since the 1960s, in which the different types of buildings seem to be the self-representation of a specific period and society.